La prima delle sette opere di misericordia.
Nel mese di agosto mio nipote Lorenzo, ancora in vacanza ed in attesa di iniziare in settembre la seconda elementare, in diverse occasioni è venuto a farmi compagnia presso la sede della Misericordia. Un po’ per necessità ed un po’ per abitudine, infatti, quasi tutti i giorni mi trattengo al mattino in sede per due/tre ore per adempiere ai miei doveri per lo più di carattere amministrativo.
Nel precedente numero dell’oratorio avevo raccontato a grandi linee la cerimonia di presentazione dell’ultimo dipinto che fa mostra di sé all’altezza del primo piano, proprio di fronte all’ingresso verso gli ambulatori. I più attenti alle cronache del giornalino parrocchiale si ricorderanno che si trattava della riproduzione di un dipinto di David Teniers il Giovare, pittore fiammingo (Anversa 1610, Bruxelles 1690) denominato “Le sette opere di Misericordia”.
Lorenzo, la prima volta che lo ha visto, molto candidamente mi ha sussurrato un commento che mi ha fatto molto piacere:
“Nonno, questo è il quadro più bello che hai qui in Misericordia. Ho già visto tutti gli altri ma questo mi piace il più di tutti. E’ il più colorato. Mi hai parlato più volte degli altri quadri. Questo cosa racconta?”
La mia risposta non si è fatta attendere:
“Questo quadro racconta le opere che ogni buon cristiano, quindi anche tu, dovrebbe fare per andare incontro a tutti quelli che hanno bisogno di qualche aiuto in particolare, come stanno cercando di fare la Misericordia e la Caritas. Ti ho già raccontato cosa fanno, o che dovrebbero fare, la Misericordia e la Caritas, e questo quadro ce le racconta tutte. Faremo così: ogni giorno che verremo qui ci fermeremo un attimo e parleremo di una di queste cose. In sette giorni le rammenteremo tutte. Oggi cominciamo con la prima: a metà altezza del dipinto, un po’ spostato sulla sinistra, vedi che c’è una persona un po’ anziana che ha su un tavolino alcuni pani, e ne sta offrendo uno ad un’altra persona un po’ anziana pure lei, spostata più al centro del quadro. Questo è il primo messaggio: – dar da mangiare agli affamati -. Domani parleremo del secondo messaggio.”
Naturalmente mi sono soffermato su un concetto molto più ampio rispetto al semplice gesto che la Caritas compie nel momento che offre un pacco alimentare ad uno dei propri assistiti. Dar da mangiare agli affamati significa dare una continuità per fare in modo che nessuno debba più “patire la fame”. Significa aiutale la persona bisognosa a trovarsi anche un lavoro per uscire dalla povertà e per rendersi autosufficiente quanto prima, senza essere costretta a rivolgersi alla Caritas per sempre. Anche perché la Caritas ha mezzi economici limitati e non potrebbe mantenere a lungo questo impegno. Dar da mangiare agli affamati significa anche aiutare a distanza attraverso le adozioni e le offerte in denaro a favore di particolari organizzazioni missionarie. E’ forse il modo più efficace affinché persone adulte e bambini di altri paesi poveri, non siano costretti ad emigrare con i barconi o con qualsiasi altro mezzo per inseguire una speranza che nel migliore dei casi li costringe ad abbandonare la propria terra di origine, per andare incontro ad un destino incerto e non privo di rischi.
Ma, … non di solo pane …
Dar da mangiare agli affamati non va quindi ridotto al praticantato di un’opera antropologica. Non significa dare sostanza ad un atto di giustizia sociale fine a sé stesso, ma vuol essere soprattutto l’adempimento di un gesto di fraternità che riconosce nel fratello bisognoso il volto del Dio sofferente, il Dio che chiede di essere sfamato nella persona del povero. E proprio per questa ragione il significato biblico di dare da mangiare agli affamati da sempre sostiene il duplice valore di condividere il cibo ed offrire una parola di vita e di speranza.
Ho letto da qualche parte, parola più parola meno, che “Il nutrimento del corpo sazia l’anima solo quando è accompagnato dalla Parola di Dio ed ogni annunzio del Vangelo è accolto con gioia solo quando è accompagnato da gesti di carità materiale.”
Dar da mangiare agli affamati non significa allora compiere solo un’azione caritativa saltuaria che risolve un problema temporaneo, che solleva la coscienza del donatore, ma lascia il bisognoso nello stato di necessità. Dare da mangiare significa creare quelle situazioni favorevoli per offrire la possibilità di trovare soluzioni dignitose che permettano ad ogni uomo e donna di guadagnarsi il pane quotidiano per sé e la sua famiglia. E’ solo così che la dignità umana, gravemente danneggiata dalle tristi condizioni di emarginazione e povertà, può essere curata e sanata attraverso un benessere integrale della persona che necessita di un sostegno materiale e spirituale.
Non credo che il mio giovane nipote possa aver colto da questo mio raccontare tutto quello che c’è dietro a questa prima opera di misericordia, ma mi auguro che qualcosa gli sia rimasto impresso, e che comunque, quando sarà più grande, possa coglierne per intero il profondo significato. Gli ho promesso comunque che quando torneremo nella sede della Confraternita ci soffermeremo nuovamente di fronte al suo quadro preferito, e gli racconterò qualcosa in merito alla seconda opera di carità – dar da bere agli assetati -.