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DAR DA BERE AGLI ASSETATI

Sempre nel mese di agosto, mi sono soffermato nuovamente di fronte alla bella copia del dipinto di David Teniers il Giovane assieme a Lorenzo, il mio piccolo ascoltatore di famiglia. Questa volta abbiamo concentrato lo sguardo sulla seconda delle sette opere corporali di Misericordia, “dar da bere agli assetati”.  Nell’immagine, in basso a sinistra, un giovane versa da una brocca un po’ di acqua su una ciotola tenuta in mano da una donna con un neonato in braccio. Sul fianco sinistro della donna, un fanciullo, in piedi, sta bevendo da un’altra ciotola. E’ un’immagine molto semplice, chiara, esplicita. Da qui possiamo fare una prima analisi della scena.

Tutti sappiamo come l’acqua sia un elemento essenziale per la nascita e il mantenimento della vita umana e della natura in genere. Nei paesi più evoluti l’acqua è palesemente un diritto acquisito per tutti i suoi cittadini, anche se i prezzi dell’acqua sono sempre in continuo aumento. C’è palesemente un tentativo diffuso di privatizzarne la gestione con l’intenzione di affidarla a organizzazioni intenzionate ad ottenerne massimi ricavi. Nei paesi più poveri del mondo esistono invece popolazioni che hanno un accesso limitato all’acqua o, peggio ancora, sono costretti ad utilizzare acque malsane che si trasformano in fonti di malattie. E qui potrebbe sembrare che dar da bere agli assetati sia un’opera di misericordia corporale di cui se ne debbano far carico le pubbliche istituzioni mondiali e le cooperazioni internazionali attraverso la creazione e la diffusione di reti idriche che garantiscano l’accesso all’acqua indistintamente a tutti.  Certamente questo è vero. Ma c’è dell’altro. 

Nella tradizione biblica, l’acqua è figura della Grazia divina, del dono per antonomasia. E’ segno di gratuità assoluta. Oggi, da dono per tutti, la stiamo trasformando in merce a pagamento.

La vera sfida consiste nell’accompagnare chi ha sete e aiutarlo a “scavare un pozzo”, in modo che in futuro non abbia mai più sete e non permanga in una condizione di sudditanza sociale e psicologica.

E c’è dell’altro ancora.

La dottrina cristiana attribuisce a quest’opera di misericordia un significato ben più ampio, un valore rigenerante, evangelizzatore e salvifico. San Francesco definiva sorella acqua utile et humile et pretiosa et casta, riassumendone le sue qualità in soli quattro aggettivi. Con il “dar da bere agli assetati”, Gesù lasciò ai discepoli una consegna semplice e “radicale” non limitabile ad un bicchiere di acqua;  “dar da bere agli assetati acquista, invece, il significato di prendersi cura della natura e promotori della vita. Significa essere vicini a tante creature che hanno anche “altra sete”: sono spesso persone che incontriamo sul pianerottolo di un condominio, che incrociamo quotidianamente per strada. Tanti altri non li conosciamo e non li incontreremo mai. Dinanzi a questi nostri fratelli, vicini e lontani, non possiamo farci trovare distratti e indifferenti. Dobbiamo riuscire a spendere per loro un po’ dei nostri talenti e un po’ del nostro tempo, con discrezione, con rispetto; in questo modo avremo ridotto la loro sete come se avessimo dato loro un sorso d’acqua, assieme a una boccata di vita e di speranza, in obbedienza all’invito del Maestro.

 Bellissima l’immagine di Papa Giovanni XXIII che definì la Chiesa come “la vecchia fontana del villaggio” che disseta tutti. E allora la Chiesa (e la Chiesa siamo tutti noi) dovrà continuare a “erogare gratuitamente acqua pura” per colmare qualsiasi tipo di sete: sete di affetto, di compagnia, di giustizia e legalità, di attenzione, di dignità, di normalità, di fede …

Da buoni cristiani siamo pertanto chiamati ad alimentare la vecchia fontana del villaggio, per non farle mai mancare la risposta per ogni necessità umana; eviteremo così anche il rischio di essere colpiti dalla siccità della nostra anima.

E anche il bel dipinto del seicentesco pittore fiammingo può aiutarci a posare gli occhi del cuore su tutto ciò. La dottrina cristiana ci chiama ad essere tutti noi, custodi della fontana; ce lo chiede Gesù chiamandoci intorno a sé, discepoli per concessione divina, per formarci e trasformarci in pane e acqua, per sfamare e dissetare ogni essere umano tra le mille difficoltà e contraddizioni di questo nostro mondo.