Era un sabato mattina. Il mese era ottobre. A scuole chiuse ero in giro con Lorenzo, il mio piccolo nipote. Un po’ per abitudine e un po’ per mia necessità eravamo diretti verso la sede della Misericordia. Nell’affrontare la rampa di scale ci siamo soffermati nuovamente di fronte al bel quadro di David Teniers il Giovane. In quell’occasione ho orientato l’attenzione del mio giovane compagno di viaggio su un particolare del dipinto, quello che raffigura “l’alloggiare i pellegrini”. In quest’anno, forse come non mai, il fatto appare particolarmente appropriato e pertinente in considerazione del “Giubileo della Speranza”.a questi pellegrini, oggi, chi sono? “Alloggiare i pellegrini”, quando ha inizio e dove ci porta?
Se partiamo da quando ci dice Dio Creatore “La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri ed ospiti” (Lev 25,23), la conclusione è che siamo tutti pellegrini, ognuno di noi con la propria storia e in cammino verso la casa del Padre.
Se restringiamo il significato del termine a situazioni più attuali, i pellegrini sono coloro che si muovono spontaneamente per raggiungere i più famosi luoghi di spiritualità. Una minoranza di costoro viaggia a piedi e magari passa la notte in alloggi e ostelli forniti di modesta accoglienza. Altri, la maggior parte, viaggiano su comodi pullman e alloggiano in confortevoli hotel, dando origine al cosiddetto turismo religioso.
Ma credo che in questo momento storico la quarta opera di misericordia faccia riferimento in modo particolare all’ accoglienza di altri pellegrini, i migranti, i profughi, i rifugiati.
Probabilmente il primo passo da fare per assicurare una buona accoglienza è superare la diffidenza e passare dall’indifferenza all’attenzione. Accogliere è superare i pregiudizi e i luoghi comuni attingendo al coraggio di lasciarci disturbare dall’ospite “inopportuno”. E’ ascoltare con umiltà e discrezione rispettando culture diverse senza sminuire la propria, accettandone le differenze come un dono.
C’è un fascino in tutto ciò. Aprire le porte della propria casa (della propria regione, della propria nazione, della propria Chiesa …) a un pellegrino significa condividerne un’esperienza di vita. Significa aprire una finestra su nuovi spazi interiori.
I pellegrini del nostro tempo sono i profughi di ogni genere. Quasi sempre lasciano la propria patria per necessità; è una necessità amara, che comporta l’abbandono della propria terra, della famiglia, della rete di amicizie. E’ una scelta dolorosa che ha per conseguenza una serie di disagi abitativi, lavorativi, sanitari, scolastici per i bambini, relazionali anche per la non conoscenza della lingua. Il loro “viaggio della speranza”, quando non viene interrotto dalle onde e dalle profondità marine o quando non termina con il cadere nella rete dello sfruttamento sessuale, termina a volte all’interno di un ghetto, con tutti i problemi di affollamento che ne conseguono.
E allora “alloggiare i pellegrini” significa anche aiutare i nuovi immigrati ad inserirsi nell’ambiente, ad apprendere la nostra lingua, a comprendere le nostre leggi spesso complicate, i nostri usi e costumi, a trovare loro una sistemazione dignitosa sia sul piano abitativo sia sul piano lavorativo. Significa anche diffondere la cultura dell’accoglienza. Gli immigrati non sono solo portatori di “bisogni”; sono anche portatori di valori e ricchezza per la comunità che li accoglie.
In definitiva, ci rendiamo perfettamente conto delle difficoltà che ogni nazione incontra su questi fenomeni di immigrazione di massa. E’ evidente la necessità di un impegno politico serio e comunitario, non solo per “costruire ponti” ma case, scuole, ospedali, creare posti di lavoro e tutto ciò che consente una vita dignitosa. Ma anche noi “privati”, pur potendo fare poco, non siamo dispensati dall’impiegarci al massimo per aiutare i tanti “pellegrini” che incontriamo ogni giorno. Possiamo iniziare anche con una buona parola, un saluto, un sorriso …